Foresta del Cansiglio

Notizie Generali

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Cansiglio e Gruppo del Cavallo da cima Pizzoc (G. Bettolo)

Il Cansiglio, altopiano delle Prealpi Carniche posto a cavallo delle province di Belluno, Treviso e Pordenone, sovrasta con le pendici esterne a sud e a est la pianura veneto-friulana, mentre a nord è delimitato dalla regione dell’Alpago e a nord est dal gruppo montuoso del Cavallo; infine, ad ovest, la Val Lapisina lo separa dal Col Visentin.  Dalla caratteristica forma a catino, è costituito nella sua parte centrale da tre depressioni: Pian Cansiglio, Valmenera e Cornesega, dove si raggiunge la quota più bassa (898 m).  I rilievi circostanti hanno un’altezza attorno ai 1300 m, tranne ad ovest e a sud ovest, in corrispondenza del M. Millifret (1577 m) e del M. Pizzoc (1565 m); ad est con il M. Croseraz si raggiungono i 1694 m. I principali solchi vallivi, dai quali si accede alla conca, sono quelli di Campon (1050 m) a nord e quello della Crosetta (1118 m) a sud.  Il clima è temperato freddo con estati fresche.  L’aria fredda che scende dai versanti interni ristagna nella conca dando origine al caratteristico fenomeno dell’inversione termica: la temperatura diminuisce procedendo dai rilievi circostanti alle zone centrali più basse. Gli estremi termici sono compresi, pur se in condizioni eccezionali, tra i +30° e i –30° C. Sebbene le precipitazioni medie annue siano di circa 1800 mm, i corsi d’acqua a regime permanente sono inesistenti per la natura carsica del territorio.  L’umidità atmosferica assume quasi tutto l’anno valori elevati e spesso la conca è colmata da una fitta nebbia la cui formazione è dovuta alla forte escursione termica giornaliera.

Geologia

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Caprina

Le rocce del Cansiglio sono in prevalenza sedimentarie: di origine marina si sono formate nel periodo Cretacico per l’accumularsi di resti organici di animali e vegetali marini (coralli, madrepore, molluschi, alghe).  Dopo l’emersione dal mare degli strati rocciosi e la flessione della zona centrale dell’altopiano, questo venne esposto all’azione degli agenti atmosferici dando inizio al fenomeno del carsismo, che attualmente caratterizza l’intero paesaggio e l’ambiente sotterraneo.  Le acque meteoriche hanno infatti un’azione erosiva e corrosiva sulle rocce di natura calcarea, specialmente se fessurate, e favoriscono la formazione di conche più o meno estese; talvolta piccole depressioni del terreno tipiche dell’ambiente carsico, le doline, vengono intasate da detriti e da materiale argilloso che le rendono impermeabili, originando ristagni d’acqua permanente detti localmente lame.  Questi piccoli specchi d’acqua sono stati per secoli le uniche fonti idriche disponibili sia per gli uomini che per gli animali, dato che il carsismo non consente lo sviluppo di un’idrografia superficiale: tutta l’acqua percola nel sottosuolo per riaffiorare ai piedi dell’altopiano dove va ad alimentare numerose risorgive.  Le forme carsiche sotterranee sono a prevalente sviluppo verticale, come gli inghiottitoi: i più noti e studiati tra questi sono il Bus della Genziana di 587 m di profondità e il Bus de la Lum profondo 185 m, ricordato per le tristi vicende della seconda guerra mondiale.  A questi luoghi, ancora in parte inesplorati, non solo sono stati dedicati (fin dal secolo scorso) scritti di natura scientifica e letteraria, ma anche leggende popolari che ne hanno accresciuto l’alone di mistero.

Flora

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Faggio in abito invernale (S. Vicenzi)

Il visitatore che arriva per la prima volta in Cansiglio rimane colpito dalla bellezza della sua foresta, fortemente caratterizzata dalla presenza di faggi (Fagus sylvatica) spesso molto alti e dai fusti colonnari.  Sotto le fronde, nel sottobosco, crescono specie che tollerano l’ombra: le felci, l’anemone dei boschi (Anemone nemorosa), l’elleboro verde (Helleborus viridis), l’acetosella (Oxalis acetosella).  La faggeta varia in splendidi colori con il mutare delle stagioni e risente, come tutta la vegetazione della conca, dell’inversione termica: di conseguenza la troviamo distribuita in prevalenza sui rilievi che circondano il piano, dove le condizioni climatiche sono più miti; abbassandosi di quota il faggio si associa all’abete bianco (Abies alba) e all’abete rosso (Picea excelsa), formando un bosco misto che in marzo viene pervaso dall’intenso profumo del fior di stecco (Daphne mezereum), piccolo arbusto dai fiori vivacemente colorati.  Più in basso, in prossimità delle depressioni centrali, vi sono invece boschi puri di abete rosso in gran parte di origine artificiale, nei quali la vegetazione del sottobosco ha un aspetto più povero.  Infine sul fondo del catino, dove fa più freddo, si estende una zona a vegetazione erbacea di origine naturale che nel tempo l’uomo ha modificato profondamente per scopi zootecnici, non solo ampliandola ai danni del bosco, ma anche operando una forte selezione sulle specie vegetali. Questi ampi spazi aperti vengono punteggiati dai variegati colori delle fioriture stagionali: suggestiva quella primaverile di genziane (Gentiana verna, Gentiana Clusii) e di crochi (Crocus albiflorus).  Il patrimonio floristico del Cansiglio (interno ed esterno alla conca), unitamente a quello del gruppo montuoso Cavallo-Col Nudo, è tale da aver suscitato profondo interesse nei botanici fin dalla prima metà del Settecento.  Il gruppo del Cansiglio-Cavallo infatti durante le glaciazioni rimase sgombro dalla spessa coltre di ghiaccio, offrendosi come rifugio alla flora e favorendo la sopravvivenza di specie endemiche come il geranio argenteo (Geranium argenteum).  Di notevole interesse sono gli ambienti umidi (lame, torbiere) che per la loro fragilità ed importanza scientifica sono tutelati dalla legge.

Fauna

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Cervo (M. Stroppa)

Il Cansiglio, area dalla quale la caccia è bandita da tempo, offre rifugio a molte specie animali.  I mammiferi più facili da avvistare, soprattutto all’imbrunire, sono il capriolo (Capreolus capreolus) ed il cervo (Cervus elaphus), presente in foresta in buon numero.  Questi erbivori, assieme al daino (Dama dama) introdotto in passato dall’uomo, sono in continua espansione per la mancanza di predatori naturali, anche se negli ultimi anni sono state segnalate la presenza della lince (Felis lynx) e le saltuarie incursioni in foresta da parte dell’orso bruno (Ursus arctos).  Vivono qui anche molti mustelidi, animali dalle abitudini crepuscolari e notturne, come la martora e la faina (Martes martes, M. foina), il tasso (Meles meles) e la donnola (Mustela nivalis), il carnivoro più piccolo esistente sull’intero territorio nazionale.  L’unico rappresentante dei canidi è la volpe (Vulpes vulpes): mammifero dalle abitudini alimentari molto versatili, lo si può incontrare al suo rientro dalla caccia notturna alla tana, nascosta sovente presso doline e piccoli inghiottitoi; tra i leporidi, invece, è possibile vedere la lepre comune ed occasionalmente la lepre variabile (Lepus europaeus, L. timidus).  Tra i roditori sono frequenti l’agile scoiattolo (Sciurus vulgaris), il ghiro (Glis glis) e numerose arvicole e topi selvatici, mentre tra gli insettivori troviamo il riccio (Erinaceus europaeus), la talpa (Talpa europaea) ed i meno conosciuti toporagni.  Molti di questi micromammiferi forniscono cibo in abbondanza a rapaci diurni e notturni: tra i primi i più comuni sono la poiana, il gheppio, l’astore e lo sparviere, mentre solo occasionalmente si possono osservare esemplari di aquila reale (Aquila chrysaetos); tra i notturni troviamo l’allocco, le civette nana e capogrosso e lo sporadico gufo reale.

aquila reale

Aquila reale (F. Mezzavilla)

Il gallo cedrone (Tetrao urugallus), presente con altri tetraonidi (francolino di monte, pernice bianca, fagiano di monte), è ormai una rarità.  Più comuni, ma altrettanto interessanti sono, tra i corvidi, la cornacchia, che spesso si nota nei pressi delle abitazioni, e la colorata ghiandaia; in primavera facilmente individuabile anche a distanza è il tipico canto del cuculo, uccello dal comportamento parassita; passeggiando ai margini di prati e pascoli, l’allodola, piccolo passeriforme, si fa riconoscere mentre si libra chiassosa sopra il suo territorio; in bosco, segni di scavo lasciati sui tronchi ci rivelano invece la presenza del picchio nero e del picchio rosso maggiore, frequentatori abituali della foresta.  In primavera ed in autunno, durante le migrazioni, non è raro avvistare, specialmente nei pressi delle lame, uccelli acquatici, come ad esempio cicogne e germani reali, che con la loro presenza temporanea arricchiscono in modo inconsueto l’ambiente carsico dell’altopiano.  Gli anfibi trovano nelle lame o negli anfratti umidi del bosco condizioni ambientali favorevoli, perciò non è difficile imbattersi in esemplari di tritoni (Triturus alpestris, T. cristatus), rospi e rane.  Tra i rettili si annoverano il marasso (Vipera berus), l’aspide (Vipera aspis), la biscia dal collare (Natrix natrix), oltre ad alcuni sauri come la lucertola vivipara (Lacerta viviparis) e l’orbettino (Anguis fragilis) che trovano copioso alimento nell’abbondanza di invertebrati.

Preistoria

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Scavi archeologici (M. Peresani)

Le ricerche archeologiche e paleoambientali, che l’Università di Ferrara sta conducendo in Cansiglio dal 1993, attestano tracce indiscutibili della presenza dell’Uomo preistorico a partire già forse da 100.000 anni fa.  Dati più completi riguardano, tuttavia, una fase più recente della Preistoria, grazie al maggior numero di siti archeologici e al loro migliore stato di conservazione.  Tali insediamenti ci illuminano sui rapporti intercorsi tra il Cansiglio e i gruppi di cacciatori- raccoglitori che, a partire da 12.000 anni fa, frequentarono sistematicamente l’altopiano per sfruttare le risorse alimentari offerte dai boschi cresciuti dopo l’ultima glaciazione quaternaria.  L’Uomo del Paleolitico superiore infatti stabilì i suoi primi accampamenti (tende costruite probabilmente con legno e pelli) nei pressi del Bus de la Lum: qui sono stati rinvenuti strumenti comunemente usati per attività di sussistenza (grattatoi, lame ritoccate e bulini per lavorare la pelle, il legno, il corno e l’osso). Di particolare interesse è il sito di Palughetto, nei pressi di un’area umida, dove l’uomo creò una riserva di selci da scheggiare all’occorrenza.  Sul versante occidentale del Pian Cansiglio sono state individuate decine di accampamenti di età Mesolitica, databili tra 10.000 e 8.000 anni fa, grazie alla presenza di numerosi manufatti litici: è probabile che alcuni di questi accampamenti ospitassero uomini dediti esclusivamente alla preparazione delle armi per le attività venatorie.  Questo insieme di scoperte fa pensare che durante il Paleolitico superiore e il Mesolitico i gruppi di cacciatori-raccoglitori avessero adottato uno stile di vita di tipo seminomade: durante la stagione invernale si insediavano nell’Alpago o nella pianura veneto-friulana, mentre tra la tarda primavera e l’inizio dell’autunno abitavano la montagna.

Storia

Disegno tratto da un distintivo delle Guardie Boschive di San Marco del 1793 (V. de Savorgnani)

Disegno tratto da un distintivo delle Guardie Boschive di San Marco del 1793 (V. de Savorgnani)

La prima testimonianza scritta nella quale è citato il Bosco d’Alpago (così era allora chiamata la foresta del Cansiglio) è un Diploma del 923 di Berengario I, incoronato Re d’Italia con l’appoggio della autorità ecclesiastica, nel quale il sovrano donava la foresta al feudo del Vescovo-Conte di Belluno.  Nei secoli successivi numerose furono le concessioni di diritto di pascolo ad enti e a privati, ma la pressione delle attività umane sulla foresta si acuì quando, in epoca comunale, il Cansiglio divenne proprietà della Comunità di Belluno.  Le sorti della foresta migliorarono solo a partire dai primi anni del XV secolo, quando anche il territorio bellunese chiese protezione alla Repubblica di Venezia.  I veneziani erano consapevoli dell’importanza del controllo di boschi ed acque per la sopravvivenza del debole equilibrio della laguna e quindi della loro stessa città; per questo istituirono, nei primi decenni del Cinquecento, un magistrato “sopra legne e boschi” per preservare i boschi della terraferma.  Il Cansiglio inoltre rivestì un’enorme importanza economica per lo Stato veneziano: la sua ricca faggeta fu impiegata principalmente nella produzione di remi e nella produzione di legname da opera e carbone.  Il governo francese e quello austriaco, succeduti con alterne vicende alla Serenissima, attuarono una gestione disattenta, offrendo occasioni di rivalsa sul patrimonio forestale alle popolazioni contermini finché, dopo la nascita del Regno d’Italia nel 1871, il Governo italiano dichiarò il Cansiglio Foresta Demaniale Inalienabile.  La storia più recente dell’altopiano è segnata dai tragici avvenimenti legati alla seconda guerra mondiale: in Cansiglio si stabilì il quartier generale di volontari provenienti dalle aree vicine che, con alterne fortune, si unirono nella lotta partigiana.

Il Museo dell’Uomo in Cansiglio

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Museo dell’Uomo in Cansiglio “A. Vieceli”

Il MUC – Museo Regionale dell’Uomo in Cansiglio “Anna Vieceli” – Centro Etnografico e di Cultura Cimbra si trova in località Pian Osteria. Negli anni ‘70, con l’aiuto della Comunità Cimbra presente in Consiglio, il Corpo Forestale dello Stato iniziò una raccolta di documenti, manufatti e attrezzi da lavoro; il Museo venne inaugurato nel 1975.  Con il graduale passaggio del Demanio Forestale dallo Stato alle Regioni, nel 1997 il Museo fu trasferito al Veneto che ne affidò la gestione a Veneto Agricoltura.  Nel 2004 sono iniziati i lavori di ristrutturazione dello stabile con una nuova e completa definizione dello spazio interno e con l’adeguamento agli standard museali attuali rispetto alla sicurezza, all’agibilità e alla fruibilità.  Attualmente il Museo si sviluppa su due piani ed il nuovo allestimento presenta una panoramica completa della presenza umana in Cansiglio a partire dalla Preistoria, con i ritrovamenti dal periodo paleolitico fino ai giorni nostri.  Il periodo romano e il medioevo sono ancora poco noti, mentre sono ben conosciuti e supportati da numerosi documenti d’archivio i 250 anni di dominazione della foresta da parte della Serenissima Repubblica di San Marco.  Alcune sale sono dedicate alla presenza della Comunità Cimbra sull’Altopiano e alle attività forestali dall’ottocento ad oggi.

Il Museo Ecologico Zanardo

Nato nella seconda metà degli anni Sessanta per l’intraprendenza dell’allora Ispettore Forestale G. Zanardo, il piccolo ma esauriente museo, gestito dal Corpo Forestale dello Stato, conserva al suo interno reperti naturalistici riguardanti l’altopiano.  Nella sala centrale è possibile osservare, inseriti in contesti ambientali ricostruiti artificialmente, animali tipici del bosco di faggio, di abete rosso e dei prati, tra i quali spicca per bellezza un esemplare di cervo maschio.  Una sezione espositiva è interamente dedicata alla numerosa avifauna dell’altopiano: oltre ad esemplari di rapaci, notturni e diurni, corvidi, picidi, di grande interesse sono, tra i tetraonidi, le coppie di gallo forcello e gallo cedrone.  Di particolare rilevanza le collezioni di invertebrati e rettili che abitano l’area del Cansiglio- Cavallo, riuniti in un’altra piccola sala.  Altrettanto degna di attenzione è la sezione destinata alla storia geologica e geomorfologica, nella quale sono raccolti, unitamente ad alcuni fossili, pannelli illustrativi dei passati processi che hanno originato il Cansiglio e dei fenomeni carsici che caratterizzano l’attuale paesaggio.

Il Giardino Botanico

Gentiana kochiana (V. de Savorgnani)

Gentiana kochiana (V. de Savorgnani)

Il Giardino Botanico Alpino, ideato nel 1972 per volontà del prof.  G. G. Lorenzoni dell’Università di Padova e dell’Ispettore Forestale G. Zanardo, è stato ampliato in questi ultimi anni durante la gestione dell’ex Azienda Regionale Foreste del Veneto, ora Veneto Agricoltura.  In questo luogo sono raccolte circa 500 specie di piante presenti nell’area del Cansiglio-Cavallo, organizzate in parte per ambienti: in poco spazio, circa un ettaro e mezzo, è riunita la vegetazione della foresta, degli arbusteti, dei prati e dei pascoli, dei macereti e delle vallette nivali, delle rupi e di altre tipologie vegetazionali.  Di grande interesse sono gli ambienti umidi: la lama e le due torbiere che ospitano anche numerose specie di anfibi e di insetti.  Durante la visita al Giardino, anche il visitatore meno esperto può al contempo osservare le caratteristiche delle singole specie e comprendere la complessità del paesaggio che lo circonda.  Inoltre una piccola collezione è dedicata alle specie officinali, cioè piante che vengono utilizzate nella preparazione di farmaci.  All’intento educativo si affiancano quello scientifico e quello conservativo: infatti qui è possibile studiare i molteplici aspetti della flora nelle complesse relazioni ecologiche e contemporaneamente coltivare e riprodurre le specie maggiormente minacciate d’estinzione.  Le attività del Giardino sono sostenute dalla collaborazione tecnica e scientifica dell’Orto Botanico dell’Università di Padova e, dal 1993, dal contributo dell’associazione di volontariato “Amici del Giardino Botanico Alpino del Cansiglio”.

Le Carbonaie

carbonai

Carbonai (Collezione G. Pignata)

La produzione di carbon dolce in Cansiglio è documentata fin dal Medioevo.  Con la dominazione veneziana questa attività si diffuse a tal punto da richiederne la regolamentazione: essa rappresentava infatti un’importante risorsa per l’Arsenale e al contempo assicurava la pulizia del bosco, con l’impiego degli scarti delle lavorazioni forestali e delle piante di poco pregio.  Ottenuto il lotto da carbonizzare, i carbonai allestivano un piccolo riparo, utile durante la loro permanenza in bosco; successivamente tagliavano il legname, preparavano lo spiazzo, detto aiàl, dove doveva sorgere la carbonaia, il poiàt; disponevano la legna in strati concentrici, attorno ad un camino centrale.  Il diametro e l’altezza della carbonaia variavano in base alla disponibilità di materia prima; la catasta, una volta ultimata, veniva ricoperta di foglie o ramaglie e terriccio.  Attraverso il camino centrale, si introducevano poi delle braci e dei pezzetti di legno che andavano continuamente rinnovati perché dal calore prodotto dalla loro combustione dipendeva la carbonizzazione, la cottura.  Attraverso alcuni fori nel rivestimento veniva controllata con grande maestria, anche di notte, la quantità di aria in entrata, permettendo al contempo l’uscita del fumo di combustione.  Al termine, dopo aver lasciato raffreddare il poiàt si procedeva alla raccolta ed all’insaccatura del prodotto.

Le torbiere

Le torbiere, frequenti nel nord Europa, sono piuttosto rare in Italia, dove sono concentrate principalmente nell’arco alpino ed eccezionalmente nell’area appenninica.  La loro formazione infatti è dovuta alla concomitanza di particolari fattori climatici, poco ricorrenti sul territorio nazionale, quali l’apporto costante di acqua fredda, le temperature relativamente basse e l’elevata piovosità.  In queste condizioni ambientali i detriti organici di animali e piante, che sono protetti dai processi di decomposizione, creano strati torbosi profondi anche alcuni metri.  Questi ambienti umidi, pur essendo di modeste dimensioni, ospitano piante generalmente non molto vistose ma di grande pregio naturalistico come la drosera a foglie rotonde (Drosera rotundifolia), specie glaciale relitta che, per compensare la scarsa disponibilità di composti azotati, si è specializzata nella cattura di piccoli insetti, o come gli sfagni, che creano soffici tappeti caratterizzati da ammassi elevati in altezza, in grado di immagazzinare grandi quantità d’acqua anche nella parte superiore dei cumuli.  Le torbiere inoltre rivestono un ruolo primario nello studio delle vicende glaciali e postglaciali dell’altopiano: la capacità di conservare la materia organica inalterata per tempi molto lunghi consente infatti, attraverso l’analisi della torba e dei granuli pollinici in essa contenuti, di ricostruire l’evoluzione della vegetazione e del paesaggio del territorio circostante.  Per il loro carattere di eccezionalità ambientale, le torbiere, la cui esistenza in passato è stata messa in pericolo a causa delle bonifiche e per l’uso industriale della torba, sono attualmente protette dalla legge.

I Cimbri

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Cimbri a Vallorch (Collezione G. Pignata)

L’origine storica dei Cimbri (dal vocabolario cimbro “tzimbar” che significa artigiano del legno) risale a gruppi di coloni di lingua tedesca che, attorno al 1100-1300, partirono da una zona compresa tra il Tirolo e la Baviera per scendere in Italia, dove alcuni feudatari necessitavano di maestranze abili nelle attività forestali.  In Cansiglio i Cimbri giunsero come boscaioli stagionali partendo probabilmente nel XVIII secolo da Roana, uno dei sette Comuni dell’Altopiano di Asiago, dove tuttora è presente una forte comunità che parla ancora l’idioma cimbro.  Successivamente, nel corso del 1800, costruirono villaggi, in parte ancora esistenti (Le Rotte, Vallorch, I Pich, Canaie, Campon, Pian Osteria), nei quali trasferirono anche le famiglie e dove esistono ancora alcuni tipici casoni, con struttura in legno poggiante su rialzo in pietra e con coperture in “scandole” di abete.  La ricca faggeta del Cansiglio diede loro lavoro come boscaioli ed artigiani, fornendo in abbondanza legname per la produzione degli scatoi, assicelle di lunghezza e spessore variabili finalizzate alla costruzione di setacci, di fasce per le forme dei formaggi e di altri oggetti di uso domestico, che venivano molto apprezzati nei centri abitati esterni alla foresta.  Attualmente alcuni discendenti dei Cimbri vivono ancora in Cansiglio, ma la maggior parte di essi, in seguito ai mutamenti socioeconomici del secondo dopoguerra, si è stabilita nei paesi circostanti (Spert, Tambre, Fregona), dove in parte pratica ancora attività legate alla foresta o è emigrata.  I Cimbri del Cansiglio vengono riconosciuti quale minoranza etnica della Regione Veneto e sono rappresentati dall’Associazione Culturale Cimbri del Cansiglio con sede in Pian Osteria, che cura la ricerca storica, la promozione e la divulgazione, anche con pubblicazioni, della lingua, delle tradizioni e della cultura cimbra.  In tale contesto sono da visitare il Museo del Cansiglio e dei Cimbri di Pian Osteria, l’area museale dell’antico villaggio di Pian Canaie Vecio, la “Huta” tipica baracca da lavoro situata all’esterno della Riserva Pian di Ladro-Baldassarre e i villaggi sparsi nella foresta.  La prima domenica di agosto, nel villaggio di Pian Osteria, si rinnova la festa di S. Osvaldo, patrono dei Cimbri, con la rievocazione dei loro antichi mestieri.

Testi di Letizia De Martin e Vittorio de Savorgnani, su gentile concessione di:
VenetoAgricoltura